La Porta Del Paradiso

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Gli si abbandonò sopra. Esausta.

"Roby, bambino mio, non credevo che potesse essere così. E per noi sarà sempre così, vero?"

Roberto fece segno di sì, con la testa, senza parlare.

Era meravigliosamente sorpreso, infinitamente felice.

L'essersi smarrito nella spirale di quell'incredibile godimento, l'aver raggiunto quelle insospettate vette del piacere, gli fecero comprendere la pochezza di quelle che fino allora aveva considerato 'indimenticabili scopate travolgenti.

Non aveva mai immaginato la possessiva passione e l'abbandono totale, pur nella più fremente partecipazione, che avevano travolto Diana.

Sorrise al pensiero delle ragazzette che aveva avuto.

Perché quella differenza?

A cosa era dovuta?

Amore, passione, sensualità? Esperienza, tecnica?

Gli piaceva credere che fosse soprattutto amore.

Non era uscito dal grembo di Diana.

Lei lo stringeva in sé, restando abbandonata su di lui. Cominciò a muoversi di nuovo, lentamente, lo sentì rifiorire, pulsare. Rimase così. Lui le strinse i fianchi, scese sulle natiche, la guidò nel ritmo, in una crescente voluttà, sempre più freneticamente, finché la diga non cedette nel medesimo istante che la terra spasimava per la sete. E si dissetarono, entrambi, quasi morendo di piacere.

Non s'erano accorti del trascorrere del tempo. Il sole s'avviava a tuffarsi nel mare, ma neppure la gioventù di Roberto aveva avvertito che era passata, e da parecchio, l'ora di mangiare.

Roberto era supino. Diana gli poggiava il volto sul petto, gli carezzava il viso, si stringeva a lui, col ginocchio sul pube e la gamba tra quelle di lui.

"Hai fame?" Chiese Roberto?

"Di te, sempre. Dopo il pasto... ho 'più fame che pria'... E tu?"

"Più di te, ma..."

"Non mi vuoi più?"

"Ora più che mai. Il ma é un rimprovero alle leggi della natura..."

"Ci sono anche per baci... carezze?"

"No, zietta, non ci sono...

Posso chiamarti zietta? é bellissimo, eccitante..."

Chiamami come vuoi, amore mio, ma non stancarti di chiamarmi."

"E non mi stancherò di amarti, zietta, di stare con te, così, di stare in te, come prima."

I raggi che entravano attraverso le fessure delle tapparelle li richiamarono alla realtà.

"Dobbiamo essere a casa per la cena" -disse Diana- "questa sera saremo di nuovo in tre."

Non parlava né di Cesare né di marito.

"Tu" -seguitò- "guarda in frigorifero, se vuoi qualche cosa. Io non voglio mangiare nulla. Metterò un po' d'ordine e spegnerò il fuoco nel caminetto."

Si alzò e, così, nuda e scalza, andò al caminetto. Gettò la cenere sulla brace.

Roberto la seguiva con lo sguardo. Lei si voltò.

"Roby, tesoro, devi alzarti, devo mettere a posto il divano prima di farlo richiudere"

Andò a spiare dietro alla porta-finestra. Sentì lui, che s'era avvicinato silenziosamente alle sue spalle, che la stringeva: una mano sul seno e l'altra che la frugava, provocantemente intrigante, tra le gambe. Tra le sue splendide natiche Roberto andava sempre più dicendole il suo desiderio.

Si voltò, si aggrappò a lui, gli intrecciò le gambe sui fianchi, lo sentì penetrare spavaldamente, e si abbandonò a una incantevole cavalcata che la trasportò nel regno della voluttà.

Poi, scivolò ai piedi del ragazzo, affannata e sognante. Con un filo di voce gli disse:

"Roby, é incantevole.... non vorrei andare più via da qui.... non vorrei dover tornare..." -un profondo respiro- "...si fa tardi..."

Si alzò lentamente. Sempre nuda, rassettò il letto, spinse la leva del divano. Raccolse slip, gonna, blusa. Andò nel bagno.

Roberto cominciò a rivestirsi, pigramente.

V

Cesare era tornato abbastanza allegro, da Milano. Le cose erano andate bene.

Si scusò per il protrarsi dell'assenza ma, disse, era stato necessario trattenersi per esaminare come condurre le azioni successive. John Hollbrow, il famoso civilista di Londra, era perfettamente d'accordo sul follow-up, come pure Maitre Lombard, di Parigi.

Aveva viaggiato benissimo. Di solito non c'é affollamento, in quel giorno della settimana, sugli aerei da Milano a Roma.

Diana l'aveva accompagnato in camera da letto, ma lui, ringraziandola, aveva detto che poteva fare da solo. In pochi minuti sarebbe stato pronto per la cena.

"Tu" -disse alla moglie- "va a tenere compagnia a Roberto. Non dobbiamo lasciarlo troppo solo, quel ragazzo. Dobbiamo farlo sentire a proprio agio. Tu, in particolare, devi stargli molto vicino. Lo conosci da quando é nato. Gli vuoi bene e sono certo che te ne vuole anche lui. Ma devi dimostrarglielo, devi dargli confidenza, affetto, altrimenti si sentirà isolato, lontano dai suoi cari.

E' un ragazzo in gamba, e farà una brillante carriera: Specie se gli passa la fissazione della magistratura."

Diana raggiunse il salotto. Roberto era sul divano, a guardare la televisione. Sedette accanto a lui.

"Roby sono pazzamente felice e spaventata di esserlo."

"A causa del 're'?" Chiese lui.

"No, perché temo di perdere tutto da un momento all'altro. Ho paura che tutto possa ridursi a un episodio senza seguito. Prima soffrivo nel non averti, ora che so cosa significa sono tormentata, angosciata: se non ti avessi più morirei. Non é una semplice frase, la mia, é la certezza che ciò accadrebbe."

Lui le rispose senza togliere gli occhi dallo schermo.

"Se provi realmente ciò che dici, ti comprendo. Anch'io sono felice e triste, in preda allo sgomento, al terrore. Ma il vortice che travolge me é diverso. E' la prima volta che sento di essere innamorato: profondamente, violentemente, prepotentemente, possessivamente, furiosamente geloso.

Questo, forse, non accade a te perché tu hai una tua vita, da tempo. Io, io sì, potrei essere per te il capriccio d'un momento..."

Diana cercava di non far scorgere sul suo viso il suo tormento interiore. La sua voce era bassa, incolore, insicura.

"Roby, alla mia età ci può essere chi dice di amare uno molto più giovane di lei, solo per giustificare un capriccio, una curiosità. Ma io ti ho sempre amato, fin da quando ti vedevo crescere giorno per giorno. Quando dormivi vicino a me, tra le mie braccia, già ti sentivo grande, ti desideravo come l'unico essere che volevo e al quale volevo appartenere. Ora, questo mio desiderio, questo mio sogno, é divenuto realtà infinitamente bella. Non é l'appagamento di un capriccio, ma il raggiungimento della più alta vetta che é stata da sempre anelata e che una volta toccata non si vuole abbandonare, perché tutto il resto é solo piatta uniformità deludente, palude.

Tu che sei razionale, cerca di esserlo anche adesso. Considera che ti ho atteso da sempre, ti ho desiderato da sempre. Non con l'infatuazione dell'adolescente verso il primo uomo o la prima donna che ne colpisce la fantasia e ne solletica i sensi, ma con la piena coscienza di una donna. Da sempre, perché quando ti ho visto nascere io ero già donna.

Non ho potuto sentirti crescere nel mio grembo e partorirti, come avrei voluto, ma ho sentito trasformarsi il desiderio di 'darti la vita' in imperioso desiderio di 'ricevere la vita'. Perché è questo che voglio da te, Roby, che tu generi in me una creatura tua, nostra, mia, che tu continui attraverso me. Mi sembrerà darti la vita.

Potrebbe mai essere un 'capriccio' questo?"

Roberto era immobile, le mascelle strette, aggrappato ai cuscini del divano.

Diana seguitò, in un sussurro appena udibile ma che lui percepiva come un clangore che gli rimbombava nella testa, ritmato dal violento pulsare delle tempie.

"Roby, vorrei fare l'amore con te, ancora, subito, qui. E sento che sari capace di farlo alla presenza di tutti. Nessuno escluso.

Griderei a tutti: venite, vedete se il vostro amore é come il mio, se la vostra felicità é come la mia, se godete come io godo...

Ti voglio subito, Roby..."

Cesare entrò, allegro.

"Ciao, Roberto, come va? Cosa dice la televisione? Che hai fatto di bello in questi giorni?

Spero che Diana non ti abbia fatto mancare nulla."

Roberto gli andò incontro per salutarlo.

C'era qualcosa che lo innervosiva nel modo di fare di Cesare. Non era ancora riuscito a identificarla. Forse lo irritava quella sicurezza, che ora gli sembrava affettata.

"Bentornato, zio Cesare. La televisione ripete le solite chiacchiere politiche e i soliti elenchi di cronaca nera. Io ho ammirato i dintorni di Roma. La zia mi ha fatto visitare i Castelli, la via dei Laghi, la vostra bella villa di Fregene. Mi tratta così bene e precede ogni mio desiderio che, se seguiterà così, non riuscirai a liberarti di me tanto facilmente."

Ma caro Roberto" -rispose Cesare ridendo- "Saremo noi a trattenerti, e con ogni mezzo. Specie Diana.

Lo sapevo che la tua presenza avrebbe cambiato molte cose, qui. Per questo ho tanto insistito perché tu venissi a stare con noi. Ed ero nel giusto.

Credo che quello che ha fatto tua zia in questi giorni non lo abbia mai fatto prima d'ora. E' uscita, ha guidato l'auto, é stata ai Castelli, al mare... E' tornata a vivere. Forse ha iniziato a vivere. Vedi com'é più bella? La sua aria serena, soddisfatta, quasi trasognata? Quella piccola nuvoletta nera che le leggi negli occhi é la paura che tu te ne vada. Ne sono certo. Ci volevi tu per smuoverla. E tornata la ragazza che ho conosciuto la prima volta che l'ho incontrata. Vedi? Arrossisce come allora. E chi ti farà mai andar via, caro Roberto."

Diana, infatti, s'era sentita avvolgere da una vampa di calore, sapeva d'essere arrossita. Tentò un sorriso, a mo' di protesta.

"Per forza, arrossisco.

Mi dici tutte queste cose di fronte a Roberto, mi definisci 'ragazza'. Non avrò più autorità su di lui. In effetti Roberto ha portato qualcosa di nuovo in questa casa. Ricorda il mio passato, la piccola città dove ho vissuto, dove ti ho conosciuto, Cesare. E in un certo senso mi dà fiducia nell'avvenire.

Ho approfittato di lui, in questi giorni, forse l'ho stancato. Spero solo che quando inizieranno le lezioni trovi il tempo per farmi un po' di compagnia, non mi abbandoni"

Carmelina venne ad annunciare la cena.

A tavola le solite chiacchiere: com'era il tempo a Milano, se a Roberto era piaciuta la passeggiata ai Castelli, se Diana gli aveva mostrato la moderna funzionalità del divano-letto di Fregene; e così via.

Carmelina serviva attentamente, ma non perdeva neppure una parola di quei discorsi.

Cesare, con le posate in mano, si rivolse a Roberto.

"Senti, Roberto, forse é prematuro parlarne, ma mi piacerebbe sapere se il tuo proposito di entrare in magistratura possa o meno essere oggetto di riesame. Tu hai innata capacità di analisi e sintesi, logica convincente, facilità e proprietà di esposizione, riesci a fronteggiare brillantemente improvvise situazioni. Il magistrato ha certamente una funzione prestigiosa, fino al punto che un mio caro amico, presidente di sezione della cassazione, la paragona a quella di Dio, perché Dio giudica in cielo e il magistrato sulla terra. Il magistrato ha un potere, anche se, purtroppo, molto spesso é soggetto al potere altrui.

Tu mi sembri più tagliato per la professione forense, per l'avvocatura, hai tutti i requisiti per essere un 'principe del foro'."

Carmelina si fermò, guardò Cesare e gli chiese:

"Scusi, professo', principe de che?"

"Principe del foro, Carmelina."

"E che vo' di'?"

"Che nelle aule giudiziarie, nel foro quindi, saprà operare talmente bene da meritare il titolo di 'principe'."

"In tutti li fori, professo'?"

"Si, Carmelina, in tutti, dalla pretura alla cassazione. Ma adesso, per favore, passami l'oliera."

* * *

Sabato sera.

Diana era già a letto. Cesare uscì dal bagno, in vestaglia. La tolse e si mise a letto.

"Una settimana molto pesante" -disse, come parlando a sé stesso- "domani, poi, devo alzarmi presto, perché verrà il professor Menghini per mettere a punto la comparsa che dovremo presentare martedì."

Si avvicinò a Diana, le sfiorò la guancia con le labbra.

"Buonanotte, cara. Se vuoi leggere, fallo pure, la luce non mi disturba."

Si girò dall'altra parte e s'addormentò subito.

Diana allungò la mano, spense la luce del lume sul suo tavolino da notte, restò supina, con gli occhi aperti, nel buio. Felice.

Roberto era a letto da pochi minuti.

Trillò il telefono.

"Pronto, principe del foro? So' Carmelina, che fà, je porto la camomilla?

"Grazie Carmelina, ma già ne ho presa tanta nel pomeriggio che adesso sono proprio calmo e disteso, sarà per un'altra volta. Buonanotte."

* * *

Domenica mattina.

Erano a colazione, insieme.

"Mi spiace non poter essere con voi, oggi, ma passerò tutto il giorno con Menghini." -Disse Cesare.- "Perché non andate fuori, con queste tiepide giornate d'ottobre? Non dovrebbe esserci troppo traffico e da 'Agostino', a Fregene, si mangia benissimo. Se fossi libero vi accompagnerei volentieri.

Diana, fa accendere il riscaldamento, incarica Biagio di dare il comando telefonico. Non credo che vorrete stare in casa, in ogni modo c'é anche il caminetto. Fate funzionare il divano. Lo so che é quasi una mia fissazione, ma sono incantato da quell'automatismo. Mi sembra che da quando l'abbiamo comprato nessuno l'abbia utilizzato come letto.

Menghini ed io mangeremo qualche tramezzino, in studio, Questa sera abbiamo appuntamento con gli altri colleghi a l'Eau Vive. Purtroppo farò tardi.

Allora, buona giornata al mare. Divertitevi."

Si alzò, sfiorò i capelli della moglie con un bacio, fece cenno a Roberto di restare seduto e gli battè una mano sulla spalla. Uscì dalla stanza.

Diana guardò Roberto.

"Fregene?"

Lui annuì entusiasticamente.

La donna si alzò, andò al telefono, compose un numero, attese un certo segnale, riattaccò.

"Vado a cambiarmi, torno tra cinque minuti."

"Anch'io," -rispose Roberto-.

Questa volta indossava una gonna nera, ampia, molto lunga; una T-shirt di cotone, un cardigan rosa, scarpe col tacco non molto alto. Dalla spalla pendeva una elegante sacca di morbida pelle.

"Sono sparite le gambe! Non é come ieri!"

Osservò Roberto.

"Ci sono, tesoro, e impazienti, più che mai. L'ho fatto per... la sicurezza... stradale!"

Sorrise col volto illuminato dalla felicità

Lui aveva pantaloni e giubbotto di jeans, camiciola bianca abbottonata sul petto.

Diana era esultante.

"Il nostro destino si chiama Fregene, tesoro. Così è scritto. Adesso abbiamo anche il blessing che non avremmo mai immaginato: 'andate a Fregene, divertitevi!'"

Scesero nella rimessa, salirono in auto.

Uscì sgommando, avviandosi al raccordo anulare. Gli occhi le brillavano. Non poteva star ferma. Accese la radio, la spense. Il traffico era intenso, contrariamente alle previsioni di Cesare. Accelerava, cercava di sorpassare, con una certa impazienza, anche azzardando.

"Diana" -disse Roberto- "tu sei immortale, perché sei una dea, ma se vuoi sbarazzarti di me fammi morire d'amore? O..." -proseguì con una certa cattiveria nella voce- "ti sei stancata... questa notte?"

Lei lo fulminò con lo sguardo. Frenò bruscamente, accodandosi alla vettura che stava superando. Gli occhi le si riempirono di lacrime, le labbra tremavano.

"Roby, questa notte sono stata felice, immensamente, perché ho sognato che facevo l'amore con te, mentre Cesare dormiva come un ghiro. Era così stanco che non mi ha quasi dato la buonanotte.

Ma anche se e quando non potessi sottrarmi alle sue attenzioni, non trovando più valide scuse, lui avrebbe vicino solo una bambola inanimata, come quelle gonfiabili.

Non dire più queste cose, mi addolorano, mi feriscono, colpiscono l'unico sentimento che alberga nel mio cuore, nella mia mente, in tutto il mio essere: l'amore, l'unico, quello che nutro per te, che desidero da te.

Te l'ho detto, sono spaventata da questo amore, non immaginavo che potesse essere così, ho quasi vergogna di comportarmi così, perdo ogni pudore quando sono con te..."

Roberto le aveva messo la mano sulla gamba.

"Dea, amore e pudore non vanno d'accordo. I Veneziani dicono che 'a tòla e leto no ghe vol respèto'.

Hai mai visto quadri e statue in cui 'amore' é rappresentato vestito?

Ti prego di scusarmi per quello che ho detto, ma non riesco a sopportare il fatto che tu sia, debba essere, a letto con un altro. Vorrei impedirlo ad ogni costo. Vorrei restare in te, sempre, perché sarebbe l'unico modo per saperti solamente mia.

Sai, Dea, non credo d'essere accecato dalla passione, di bruciare al fuoco di una sensualità dovuta solo alla gioventù. Ho riflettuto tutta la notte. Non sorridere per quello che ti dico. Io sento che tu sei 'la' mia donna, la donna che il destino ha stabilito per me, non 'una' donna. La tempesta dei sensi é dovuta all'amore. Ti voglio perché ti amo, non solo perché tu sei bella, attraente, meravigliosa.

E sento che anche tu mi ami, mi vuoi, non solo per..., scusa la brutalità, 'scopare con un giovane'.

Ho deciso di seguire il consiglio di Cesare: gli chiederò di frequentare il suo studio, da subito, per prepararmi ad essere uno dei penalisti del suo team.

Così potrò stare vicino a te, con te, sempre."

Erano sull'autostrada per Fiumicino.

Le aveva intrufolato la mano sotto la lunga gonna. Diana lasciava fare, guidando a velocità moderata, sulla destra della strada. Fece salire la mano, lentamente, prepotentemente. Si fermò, sorpreso, la guardò interrogativamente. Lei fece un cenno di assenso, con la testa, con le labbra, con gli occhi. Aprì un po' le gambe per accogliere nella sua calda nudità il tepore della carezza.

"Roby, tesoro, sono anch'io impaziente. E' delizioso, incantevole, ma devo fermarmi, non riesco a controllarmi, a guidare. Devo fermarmi, ritardare il momento in cui potremo essere soli, insieme, a Fregene."

Lui tolse la mano, lentamente, indugiando in una lunga carezza in quel palpitare.

Un'accelerata decisa, e l'auto sfrecciò incurante del traffico e dei limiti di velocità.

"Certo che non é facile staccarmi dal paradiso proprio quando sono giunto alla sua porta."

Disse Roberto.

Diana guidava mordendosi lievemente il labbro inferiore.

* * *

La fiamma del caminetto colorava di bronzo i loro corpi nudi. Li illuminava come il raggio d'un faro lontano, li lasciava al buio, tornava ad avvolgerli d'oro.

I pochi vestiti erano in terra.

Roberto sembrava in preghiera, accosciato vicino a Diana.

Lei era supina, con le mani dietro la nuca, i capelli sparsi sul cuscino, sul petto, gli occhi socchiusi, come a ripararsi dalla luce o scrutare il guizzare del fuoco, le mille scintille che sprizzavano dal vermiglio del legno incandescente. Le labbra, appena aperte, lasciavano scorgere i piccoli denti, perfetti, candidi, tutti uguali, smaglianti. Il seno, sodo, d'alabastro con lievi venature azzurre, voluttuosamente provocante nel suo splendido turgore che la posizione delle braccia accentuava. L'areola bruna, i capezzoli eretti.

Roberto la contemplava estasiato.

"Ave Dea, ti adoro, più della mia vita. Sei più bella di Venere, più saggia di Minerva."

Si chinò su di lei, le baciò gli occhi, la bocca, entrambi i capezzoli, l'ombelico, giù dove spariva il piccolo prato di seta nera.

Lei dischiuse appena le gambe.

Lui, dolcemente, le discostò ancora, si pose tra esse, in ginocchio.

Diana sollevò le ginocchia poggiando i piedini sul letto, prese tra le sue piccole dita il tumido fallo di Roberto e lo poggiò sul suo sesso palpitante.

"Dea, l'hai condotto alla porta del paradiso..."

Spinse dolcemente, decisamente.

Lei ebbe un fremito, lo accolse stringendolo in sè.

"Sono in paradiso, zietta... ormai non posso più temere l'inferno... sono in paradiso... felicità eterna, godimento infinito... in paradiso..."

Diana si sentiva sprofondare in un deliquio di voluttà.

"Roby, amore mio... é il tuo paradiso... sei il mio paradiso... Roby..."

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